Pubblichiamo questo scritto di G. Kremmerz che dovrebbe far riflettere i lettori su ciò che si intende per Amore nel senso ermetico e ciò che si intende per amore nel senso popolare, in cui la parola assume sempre di più la connotazione di sinonimo di sesso. Un tale fraintendimento è presente anche nel presunto dialogo tra il crocifisso e la donna con cui si apre lo scritto.
Confessa una donna.
– Sono imperfetta. Ho amato. Mi sono pentita. Genuflessa dinnanzi al Crocefisso ho invocato perdono. Dalla corona di spine del Redentore degli umili una candida aureola mi ha portato il perdono.
O sublime visione della bontà nazarena grazie, grazie, mille volte grazie.
Le lacrime di gioia scorrono sulle mie gote; mai più peccherò di amore, mai più.
E non poteva aver presa su di me la seduzione; l’alito indefinito dell’Incarnato aveva perdonato e redento.
Ma non so come, non so perché, una sera di primavera tiepida e dolce, dimenticai tutto: promesse, pianto, perdono. Nell’aria il demone in invisibile polvere aveva cosparso un filtro; ricaddi nel peccato e la notte ai piedi della stessa croce pregai e piansi.
– O sublime volontario martire che distruggesti la barbarie con l’insegnamento della Carità abbi pietà di me: la mia carne ha peccato, non io; io ero assente, io non vedevo, non ricordavo, non sentivo più che tu eri là. Chi mi perdonerà ora che ho violato la promessa, che ho spergiurato a te, al tuo sangue, al tuo martirio?
La faccia del Cristo rimaneva immobile; solo sulla sua bocca pareva errasse un sorriso di penoso disprezzo.
– E’ vero, mio Dio, sono vile, sono stata la più vile delle femmine, ho disobbedito a te che sei il giusto… Ma mi viene una parola sul labbro: perché ci hai tu create così imperfette se l’amore è un peccato?
– Perdono, perdono, ho bestemmiato, ho trovato la tua opera imperfetta; che i tuoi fulmini mi distruggano; ai piedi tuoi io ho osato riversare su di te la causa del mio peccato, della mia debolezza, della mia colpa… e lo guardai una seconda volta; mi pareva che qualche cosa stesse per animare quelle gote scolpite nel legno massiccio.
Oh! il miracolo: la faccia gialla si colorisce, la pupilla scintillante si rivolge a me, le labbra si schiudono, una parola esce dalla sua bocca leggera come un batter d’ala di farfalla, una parola mi colpisce.
Sono pazza? Sono ubriaca di dolore? Il fulmine del castigo ha squassato il mio cervello?… egli ha detto ama?
– Ma allora tu non sei il Cristo, tu non sei il figlio della Vergine, io adoro un’apparizione di menzogna; è il demone del male che ha preso la forma del Crocifisso?
Ma io ho peccato prima di amare, poi ho bestemmiato l’opera del padre tuo, ho detto che ci hai fatti imperfetti. . . e tu dici «ama»!
Stupìta, perplessa come un’anima sull’orlo di un precipizio immane caddi semisvenuta; ed egli mi apparve e parlò. Le sue parole mi suonano ancora all’orecchio una per una scandite, lentamente pronunziate, solenni e gentili:
– o anima dolce di candida tortora tu mi fai pena; sento per te la più grande pietà. Tu non mi riconosci; io ho sempre detto agli uomini «amate». Perché ti avvilisci e ti disperi? Ama; io non perdono a coloro che non amano. E svanì. . .
O dubbio! svanì il sogno; il Crucifisso era là inchiodato, giallo, impolverato. Quello del sogno, della rapida visione era il Cristo o il nemico?
Ricordo a te lettore, caustico spettatore di questa commedia filosofica che pochi secoli fa fui monaco a Gubbio. . . l’epoca della rinascenza; c’è un libro che stampai allora con su la mia arma gentilizia: un sole. . .
(Un lettore). – Anche monaco? bravo matto. . . ma monaco di messa e stola?
– Non ridere; fui monaco di penna; e se non mi avesse seccato un priore a quest’ora – di stucco e di legno – farei bella mostra del mio capo pelato convertito in un santo miracoloso.
Ricordo tutto e alla bella creatura che mi parla così rispondo come un monaco di grande penitenza:
– devota e pia signora, tu meriti di essere arrostita viva sulla divina graticola di Lorenzo. Ogni parola tua, ogni pensiero tuo è immondo; basta dire che tu non riconosci la persona che ti apparve. Sei nel dubbio? Era il Cristo o il Lucifero?
– Non so. . .
– La sua parola ti seduceva?
– M’irradiava!
– Il suo sorriso era un invito al peccato?
– Una promessa, dolce come una carezza. . .
– Sciagurata!
– Era il diavolo, padre?
– Non rispondo. Chi deve affermarlo? io?
Ma se la domanda io non la facessi a una povera donna che le alterazioni del mensile isterismo mette nell’incertezza della sensibilità visiva e l’avessi rivolta allo stesso Cristo, si sarebbe riconosciuto egli che, a furia di ragionamenti di preti e di filosofi, di vescovi e di miscredenti, ha fatto le più tipiche comparse sulla faccia della terra dell’Occidente civile?
– Allora parliamo sul serio, carina mia.
L’amore nella sua integrità è un’iniziatura sublime. Basta amare per affacciarsi sull’abisso dell’infinito.
– Tu non mi capisci. Per capire bisogna che tu di fronte a questo sublime ignoto ti senta trepidante, trascinata in una zona che è l’inverosimile nella materia vivente, in cui tutta te stessa e tutto il creato in te vibriate in un modo che nessun meccanismo che non sia l’anima dell’uomo può dare.
– L’hai provato? puoi provarlo?
– E ho provato così. . . così ha peccato la mia carne. . .
– Spirito o carne? ma se tu in quel momento hai saputo distinguere dove comincia lo spirito e dove finisce la carne, tu non sai che sia amore.
Spirito e carne non esistono. Lo spirito lo troverai in ciò che dice Pasquino ai Papi e la carne di vitella nelle rosticcerie.
Noi siamo materia: carne, sangue, nervi, midollo allungato sono materia.
Il pensiero è materia. L’anima è materia. La luce è materia: cioè uno stato di essere della materia, del combustibile chiamato olio, petrolio, apparecchio elettrico. Esaurito il combustibile, niente più luce.
Perché ti sei ficcata nelle meningi questo stupido paradosso che l’amore è dello spirito se tu non hai per spirito che la materia, una sublimazione della carne? non mi hai detto che quella sera d’incanto tu non ricordavi più nulla?
In quell’istante scommetto che tu amasti perché non facevi differenza fra il basso e l’alto.
Dov’è il basso? dov’è l’alto?
Se il mondo universo infinito non è che un circolo in perpetuo moto, dov’è il basso e dov’è l’alto? – Il drago è ai piedi del Michael, oppure gravita sulla figura capovolta del divino arcangelo giustiziere?
Povera e gentile donna, tu mi guardi stupita!
Ti stupisce il modo col quale io vedo le cose: bisogna, se vuoi vedere il sole, che tu comperi un paio di lenti affumicate se no sarai costretta ad abbassare le palpebre. Non credere che io sia matto. . .
(Un lettore). – E’ due volte matto.
– . . . Io non ho visitato che un sol manicomio e per tanti secoli è sempre lo stesso mondo della fede e della credulità umana; ti garantisco che non manco di nessuna ruota del meccanismo cerebrale secondo le prescrizioni regolamentari della psichiatria contemporanea.
Tutto l’Occidente è impestato di paolottismo cristiano. . . e il cristianesimo finge di credere che l’uomo vada a scuola fino a venticinque anni, viva di stenti, di disillusioni, di amori insoddisfatti, di politica e di reumatismi altri trent’anni, poi se ne vada ad aspettare che quelle tali trombe della pazzia apocalittica suonino il finis mundi.
Quasi questo non bastasse Budda si affaccia all’orizzonte: rinunzia alla vita, non desiderare, non amare, non volere, non essere.
L’uomo frattanto nasce, cresce, declina, muore, rinasce, ricresce e continua e migliora: migliora per la propria esperienza in edizione perpetuamente rinnovata.
Il fondamento astrologico caldeo concepisce il cielo visibile come legge della vita universale.
Come il sole sorge e tramonta così le piante, gli animali, l’uomo, ogni forma terrestre, perfino i microbi che i caldei dovettero conoscere perché i diviahi sono demoni impercettibili di malattie innumerevoli che si allontanano (e non si distruggono) coi vapori di zolfo e di pece.
Se in ogni primavera un albero si riveste di foglie, in ogni rinascita lo scheletro più sublimato della materia umana si riveste di nuova carne; e ognuno di noi è uno dei tanti ignoti che attraversa i secoli da che mondo è mondo.
Vero trionfo del carnevale l’uomo si scappella innanzi al giudice di oggi che fu il delinquente di ieri e si sprofonda a commentare l’oratore dalla facile parola che ieri fu ciarlatano alla fiera.
E’ un gran bene la perdita della memoria con la rinascita: il fiume dell’oblio se non l’avessero inventato i pagani, lo dovremmo inventare noi. Lo chiamarono Lete, da cui letizia che è oblio delle pene.
Tutte le religioni ebbero origini sacerdotali.
I sacerdoti di casta non ebbero che un unico nemico: l’uomo; e il cave canem aristocratico e sacerdotale romano insegnava che bisognava guardarsi dal cane-volgo o cane-popolo o cane-plebe e contribuiva ad avvelenargli quel po’ di esistenza che gli restava.
Il Cristianesimo paolotto rappresentò la rivoluzione dei poverelli contro le antiche teocrazie, ma non tardò a prendersi una rivincita infernale sui poverelli stessi quando intossicò la loro vita con tutti i demoni e le pazzie che gli scrittori da manicomio vomitarono sul popolo più cane di prima.
(Un lettore). – Ma sei tre volte matto. . . e Francesco d’Assisi?
– Lo conobbi, lettore amico e ipercritico, brava persona, un anormale psichiatricamente, fu uno dei tanti che volevano realizzare il tipo paradossale del Cristo per quella malattia epidemica dell’imitazione che è caratteristica dell’uomo e della scimmia e fu il meno santo padre degli altri perché subì il mondo che gli avevano fatto trovar concreto.
La storia critica e documentata delle pazzie umane si legge nei templi di tutto il mondo civile e incivile.
L’uomo ha avuto sempre un nemico implacabile: il Dio che gli hanno apprestato i suoi sacerdoti. Un Dio che ha sempre protetto i re e i preti fino al cristianesimo che non seppe far di meglio.
L’uomo che ha vissuto comprende in sé l’uomo storico e va alla ricerca di un Dio più logico, più umano, più vero, starei per dire più cristiano se non avessi paura di preparare un nuovo vaticano.
Dice l’uomo storico che è in noi, l’uomo antico che in ognuno di noi è reincarnato: io sono, fui, sarò, forma cattolica anteriore e posteriore a Cagliostro; ed è bene che me lo conosca io questo dio che porto con me come l’anima del mio guscio di lumaca terrigena.
La storia della vita passata è incisa sillaba a sillaba nel disco del fonografo umano dell’uomo vivente. Non è il karma secondo la concezione buddica. E’ la memoria istintiva di tutti i dolori, di tutte le pene, di tutti gli spasimi che ripudia ogni rifiorire di vecchie litanie di privazioni e immolazioni dell’essere e aspira alla concezione della vita di uomini associati dopo che si sono integrati nei loro poteri naturali e satanici.
I ricorsi storici del Vico vanno spiegati con l’identità storica occulta e costante degli uomini che fecero la storia anteriore a noi.
I dolori umani e sociali hanno profonda radice nella coercizione dell’anima storica di ogni individuo. Le manifestazioni incoscienti dei fanciulli sono i caratteri generali della loro opera antica.
Il fabbro di tante vite si fa obbedire dal ferro; gente che non ha visto il mare si sente nelle vene il diritto di dominare le onde, donne poverissime hanno il senso dell’eleganza più raffinata. E’ impossibile che un mercante che abbia un’anima storica di mercante più o meno fenicio non sia un mezzo ladro.
Come mai la gente non si domanda perché alcuni giovani che hanno in questa vita studiato molto poco diventano subito dei giureconsulti, dei medici o degli architetti famosi?. . . quando l’hanno appresa tutta quella roba che spiattellano ai venti?
Si perpetuano perfino i tratti singolari di certe fisionomie. Vedili nelle case regnanti: il naso borbonico, per esempio, e certi baffi che spunteranno fra poco. . ..
Ma cara signora, buona sorella, ritorno a te.
Se sai cos’è l’amore, non fai peccato.
Se il Cristianesimo l’ha svisato e Cristo fosse davvero quello che idealmente s’immagina, Cristo sarebbe contro la chiesa, la quale chiesa per secoli ha assunto le funzioni di un istituto sociale e nello stato cristiano ne regola i costumi.
Quindi sacramentò l’amore. Lo sacramentò perché doveva creare la famiglia cristiana, la quale noi non sappiamo concepire neanche per un momento come cosa capace di essere abolita senza vederci innanzi lo spettro dell’anarchia.
Ora lascio ad altri matti che se la sbrighino con la società costituita, studio e spiego pedestremente a te, se vuoi iniziarti agli arcani della grande magia dei miracoli nella legge della natura, che una delle maestose porte dell’Arca è l’Amore.
Ma devi intenderlo com’io l’intendo.
L’uomo normale, nella normalità delle sue funzioni, non ama nel senso divino. Soddisfa alle necessità dell’appetito, mangiando e digerendo. Costui è tutto materia ponderabile.
E’ tutto ventricolo e accessori. Se desidera una donna o una cotoletta alla milanese vuol dire che ha appetito dell’una e dell’altra. Digerisce tutte e due le cose ugualmente. Se gli mettete innanzi l’obbligo di mangiare una sola cotoletta per tutta la vita si adatterà.
Ogni volta che avrà fame ricorrerà alla pietanza che gli è permessa. Quando ne sarà stufo aborrirà la bistecca per raspare nell’immondizia e nei detriti della via qualunque rifiuto delle mense altrui.
Facciamo di costui un iniziato all’amore! E’ lavare la testa all’asino!
L’amore comincia ad acquistare carattere sacro quando mette l’animo umano nello stato di mag o di trance. Materia più grave e materia più sottile son prese nell’uomo da uno stato di magnetismo così profondo che comincia prima la intuizione e poi la sensazione di un mondo che non è umano, ma che nell’ipersensibilità di uno stato di essere speciale attinge a una fonte umana.
(Un lettore). – Qui sei astruso. . . fuori i lampioncini, spiegati più chiaro.
– Ecco qua, parlo come un libro stampato:
Per conoscere ciò che è la cosa bisogna essere la cosa stessa.
Se tu in magia vuoi conoscere cosa sia il cavallo bisogna che tu ti senta cavallo. Se invece resti bue e io ti parlo del cavallo tu non capirai.
Bisogna pregare la mamma Venere che ordini al suo divino Cupido di scoccarti nel torace uno straletto avvelenato del dolce veleno. E non deve scoccarlo solo su te, ma anche su una di quelle creature che abbiamo il dovere di adorare e di proteggere perché sono più sensibili e più deboli di noi: una donna.
Io premetto che tu non sei un uomo normale. Me lo immagino e lo spero, perché se tu fossi tale non leggeresti la prosa di un pazzo. Ora lo strale di Cupido non farebbe rivolgere la tua prima intenzione alla bistecca e – messo in presenza di lei (oh quel pronome fatale. . .!) – rimarresti in uno stato speciale di estasi come S. Chiara e le altre non hanno avuto mai.
Rendile più intense quelle estasi, muto, senza desiderio e tu ti allontani da te per afferrare l’anima dell’amica che si trova nello stesso stato. Bada bene, inchioda il tuo corpo su di una seggiola e fa che l’altra, lei, stia inchiodata alla sua.
In un senso indefinito di trance se è passiva, di mag se è attiva, voi vi direte un mondo di cose belle, vi farete un racconto delle mille e una notte e. . . siete in completa zona astrale, nella zona dove vivono le anime, cioè – in lingua povera – in un campo mentale dove la materia pesante e sottilissima e meno grave tua entra in contatto non solamente con la materia pesante e sottilissima e meno grave di lei, ma con tutti i corpi, entità, angeli, eoni costituiti dalla stessa materia, che possono logicamente entrare in contatto coi vostri tentacoli.
Direbbe un santo padre: il diavolo ha messo fuori le corna. Proprio così. Sembra la cosa più facile al mondo, e lo è. Tutti gli amori raffinati hanno istanti di magia amorosa. Ma il difficile sta in due cose: nella bistecca e nel far durare intensamente e definitivamente questo stato.
Qui, caro il mio lettore arguto, ti voglio far bene aprire gli occhi su di una burletta fatta ai papi e agli scienziati: l’alchimia, che è stata presa come la madre della chimica moderna quando invece fu un pesce d’aprile preparato e digerito dalla Chiesa, la quale si è assunta l’esclusività della scienza dell’anima; quindi nessuno poteva invadere il campo religioso. Ma mentre i roghi bruciavano gli stregoni e i magherelli da strapazzo, quelli che veramente facevano la magia presentavano la vivanda adulterata sotto una forma metallica.
Dissero: la cristianità è povera. Vi è un secreto per cambiare tutti i metalli grezzi e vili in oro.
I primi erano gli uomini ordinari (metalli); l’oro era l’integrazione dell’uomo.
Chi prese la cosa alla lettera accese i fornelli e preparò la chimica moderna.
Chi intuì la maschera trovò in quei libri due grandi segreti: quello semplice della magia eonica e l’arcano degli arcani che nel sacrificio della messa – senza capirlo – è stato tramandato a noi dalla chiesa: cioè mutare il pane senza lievito, con due liquidi della terra, in un dio visibile.
Parliamo della più facile delle due magie.
La eonica ci deve trasportare in pieno Conte di Gabalis. Eone è l’essere.
Eone o ente deve essere materia, come è materia tutto il mondo universo. Eoni o enti devono essere intelligenti e quindi in perfetta analogia con l’umanità pensante e intelligente.
Sono spiriti? Se per spiriti vuoi intendere creature analoghe agli uomini ma viventi di materia più sottile della nostra umana e forse più sensibili di noi, chiamiamoli pure spiriti.
Ma se con questa parola vuoi intendere le anime dei morti ti inganni. Quello lì è regno vivo e non ha niente di lugubre. E’ il regno della favola. Vi sono fate, orchi, divinità, elfi, ondine, salamandre, silfi, gnomi, ninfe, satiri.
(Un lettore). – Anche satiri?
– . . . pei quali è bene aborrire dalle bistecche. Se non che, avendoti io svelato il come e il quando tu puoi entrare in questo mondo dell’inverosimile per la porta del divino Cupido, io non so come farti capire che corri un gran rischio all’inizio di questa magia: il rischio di uscir matto davvero, se non sei savio. Poiché la magia per questa porta dell’amore comincia veramente quando lo stato di essere del tuo individuo, permanendo nella intensità più inverosimile delle vibrazioni animiche del Pir o fuoco magico, separa l’amante che si vede con gli occhi fisici dalle entità astrali che si ammirano col senso delle corna allungate (fate, orchi, ecc.) della stessa zona a cui tu e lei siete arrivati.
O sapiente orecchiuto critico, lettore impaziente che tutto vuoi sapere, che non batti mai le mani, in questo preludio credi che io ti abbia detto poca cosa e te ne ho dette molte di cose grandi che nessuno prima di me ha scritto e che nessuno scriverà prima del disseccamento del sacro Nilo, dove i coccodrilli non meno sacri piangono i rospi mangiati vivi.
Con questo libro io aspiro al premio Nobel.
(Un lettore): – . . . come Marconi.
– Più che Marconi. Il telegrafo senza fili è una particolarità della vita sociale, abbrevia le distanze alla parola scritta.
Io invece supero di mille e ottocento cubiti Cristoforo Colombo, che scoprì un nuovo mondo alla vecchia terra, e quantunque ti debba in seguito parlare dell’uovo di Colombo che mantiene ritti i pinnacoli delle antenne, quando la navigazione è in piena acqua intraoceanica, voglio scoprire a tutta l’umanità che si dibatte in vane teosofie, tutte le porte di un mondo che, tenuto nelle grinfie delle teocrazie iniziatiche antiche, non si lascia visitare da quelli che fanno parole e professione di visionari mistici, o da filosofi trascendentali che non fanno se non vaniloqui.
E questo mondo arcinuovo io lo apro a tutti i Vespucci e ai navigatori portoghesi che si affannano ora a girare le coste di una terra ignota per la quale non trovano l’accesso navigabile.
Io spiattello tutto con sincerità e con ingenuità.
Lo faccio perché il popolo, sottratto ai preti di tutte le religioni, possa dire che il giorno della gloria è arrivato. Non nascondo niente. Non faccio misteri. Lasciamo i misteri alle vecchie e consuete carcasse sociali.
Io dico vivete, godete, gioite, integratevi, abbiate la forza di capire che i monologhi vani sono parole che imbrogliano le matasse.
Chi è il citrullo che non capisce queste cose semplicissime che spiattello per la maggior gloria del Dio vivo e vero che è l’uomo vivente, arca santa dell’Ineffabile Onnipotente, il Niente?
E dici che quei mattacchioni che assegnano il premio Nobel non penseranno a me che all’umanità apro il porto della salvezza e dell’invisibile?
Oggi è di moda parlare dell’al di là; ma l’avverbio là non è concepibile come un luogo topograficamente accettato, senza aver definito un mondo che sta di qua.
La scienza dei savi, caro lettore, non riconosce che un sol centro di vita il quale non sta né là né qua, ma nel giusto mezzo, tra passato e futuro. L’universo è uno.
L’utopia del cielo, nascondiglio degli dei e delle anime, è una favola. Le cose stanno qui, tutte qui, tutte in questo bellissimo e simpatico pianeta.
L’invisibile sta alla portata dei nostri occhi.
V’è molta gente che non ha perfezionata la vista e non vede. Io apro gli occhi ai ciechi e dico: vedete, eccovi le 72 porte della sapienza, ve le apro a una a una. Vedrete, apprenderete con l’esercizio e con la pratica che potrete veder meglio. La teosofia la farete dopo, quando non avrete alcun bisogno di farla.
Tu credi che io sia davvero così poco matto da non averti dato nelle mani una chiavetta per tentar la scalata al castello degli spiriti?
Ti ho preludiato dell’amore.
Tutte le scuole neoplatoniche italiane e provenzali dei secoli scorsi in Italia, in base a quello che ti ho accennato, tentavano la magia eonica.
Il romanzo della rosa, le corti di amore, i cavalieri erranti, Guerrino detto il Meschino, i Cavalieri di Francia. . . scava dentro a queste cose che tutti i barbieri sanno e vi troverai il nespolo occulto.
Gli eroi greci avevano in corpo l’Eros, un animaletto molto somigliante a Cupido.
I cavalieri di Carlo Magno erravano per selve e montagne e subivano l’incanto di amore, combattendo contro gl’infedeli; il maomettano era il tipo dell’infedeltà in amore perché si personificava in lui l’essere incapace dell’iniziatura all’amore, poiché mangiava solo bistecche, eternamente bistecche.
Più filosoficamente si chiamò neoplatonismo, appena dalla cavalleria eroica l’iniziatura passò alla poesia.
Vedere che l’umanità si sprofonda in salamelecchi innanzi ai nostri grandi poeti senza capire ciò che essi hanno scritto chiaramente è cosa da far rizzare i capelli anche su una tazza di porcellana!
Tutti ebbero una donna ideale, tutti ebbero l’apparenza di tanti Florindi pazzi per amore, che sarebbero soggetti da psichiatria se non avessero voluto dire quello che altri non sanno leggere.
Beatrice, Laura, Fiammetta. . . aprirono la serie che non finisce più. L’infiltrazione di questa iniziatura si estende e circola nelle corti di principi e prelati.
Il periodo angioino a Napoli, la Corte Medicea di Firenze, quella di Este, quella di Leone X: il regno dell’amore prende il regno di Dio.
Roma alla rovescia è Amor (Roma-Amor-Orma-Maro furono nomi iniziatici dell’Urbe che era il sacrario occulto dove si faceva il caldo e il freddo. Quando il sacrario degli ascosi mari o i labirinti sacri furono svelati si sentì l’odore delle cene di Petronio Arbitro. Peccato che il Matto non aspiri a una cattedra per la latinità della mistica Orma, per spiegare certe cose che non furono mai spiegate).
Ecco perché Dante prende a maestro e guida l’iniziato che aveva conosciuto e cantato gli eroi che tenevano in corpo quella tale freccia, aculeo che spinge e sprona.
E Dante con un Maestro siffatto prende le cose dal basso e comincia il suo viaggio dalle porte inferiori, dalle quali per tante vicende arriva alla presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Porta infera o porta magica dantesca, che in modi diversi tu vedi raffigurata in certi ruderi nel pubblico giardino di piazza Vittorio Emanuele a Roma, ruderi di una porta bassa che con segni cabalistici indica in che modo si entra per la porta di Amore nel magazzino dell’ottico in cui la vista umana può cominciare il suo perfezionamento.
Vedi che più pazzo di me tu non trovi. Io ti dico tutto. Tolgo il velo a Iside e te la faccio portare a cena dopo il teatro e, dopo cena, alla camera nuziale.
Come vedi sono un matto di manica larga.
Sai tu come nacque lo spiritismo magnetico in Francia con quel burlone di Alfonso Cahagnet?
Un processo semplice, dice il maestro: prendi una giovinetta, mettila a sedere dinanzi a una bicchiere di acqua limpida, poggia la mano sulla testa di lei, prega il buon angelo che scenda sulla tua giovinetta e le faccia vedere. . . statti bene a sentire tutto quello che vedrà. . .
Allora si credeva al buon angelo. Oggi chi ci crede più?
Questi veggenti vedono in una trance superficiale e sognano a occhi aperti tutto quello che passa nella zona dei pensieri umani.
Io invece ti ho scoperto il pianeta della felicità. . . e della verità.
Ama. Ama come il cavaliere leggendario quella bella creatura che sta chiusa in un castello di bronzo.
Non puoi amare così che per grazia. . . tutte le sonerie del tuo castello devono vibrare, come in segno che la tua anima si affaccia sull’abisso immenso, infinito delle anime.
Sullo stesso abisso si affaccia l’anima di lei e si apre il cinema invisibile al profano mangiatore di pollanche arrostite.
Lucifero (e non può essere il Cristo?) ti aspetta e ti può guidare, se sai e non temi. Sei in piena piromagia o magia del fuoco divino.
Perdi l’equilibrio? oscilli? tremi? eccoti che sdruccioli nella magia infernale; il fuoco divino perde la sua limpidezza e i vapori dei tizzoni e della pece ti avvolgono.
Lucifero scompare e comincia a cantare lusinghe la voce dell’efeba.
Ma a questo punto cessa l’intermezzo piromagico che prelude al maggior arcano di Venere che dà la iniziatura eonica. Leggi bene, attentamente, non ubriacarti di vanagloria e capirai i tre segreti:
1) come mantenere acceso intensamente il fuoco sacro;
2) come renderlo perpetuo e con quali carboni alimentarlo;
3) come, col sigillo di Salomone, celebrare le tue nozze con una fata, se sei un uomo, con un orco se sei femmina, perché riviva la fiaba iridescente che gli uomini non conoscono ancora e a cui fingono di non voler credere.
Da I Tarocchi di G. Kremmerz